La Patulina è una tossina prodotta da un numero elevato di funghi del genere Aspergillus e Penicillium.
La possiamo trovare in numerosi ortaggi e frutti come peperoni, cetrioli, carote, susine, pesche, pere e angurie. O in cereali come il mais e il frumento e in legumi come i piselli. Ma è particolarmente frequente nelle mele e nei succhi di mela.
La sua presenza è abbastanza evidente in quei vegetali che appaiono degradati ed ammuffiti in superficie oppure all’interno, dove il marciume è più visibile.
Pur essendo mutagena la IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro), nel 1993 ha classificato la patulina nel Gruppo 3 cioè “non classificabile come agente cancerogeno per l’uomo“.
A livello cellulare però questa tossina crea numerosissimi danni. Per dirne alcuni, provoca l’inibizione di enzimi indispensabili per la vita metabolica della cellula stessa andando a reagire con alcuni gruppi -SH di proteine. Interrompendo così reazioni indispensabili alla formazione di ATP (le molecole energetiche più importanti) e andando a bloccare il glutatione che è l’antiossidate più significativo contro l’azione deleteria dei radicali liberi.
L’assunzione accidentale di questa tossina, anche in piccole quantità, ripetuta nel tempo, può portare ad un depauperamento progressivo del glutatione cellulare e ad una crescente incapacità da parte di tutte le cellule del corpo di fronteggiare adeguatamente i numerosi pericoli derivanti dalla presenza di tossici come alcol, farmaci, metalli pesanti, ecc. presenti nel nostro corpo come conseguenza di una alimentazione scorretta, utilizzo di farmaci ed inquinamento ambientale.
Riducendo progressivamente i processi di detossificazione da questi veleni, che trovano proprio nel glutatione l’espressione “principe” e la centralità di questa autodifesa, si va inevitabilmente incontro ad un indebolimento delle cellule e ad un conseguenziale invecchiamento dei tessuti e del corpo.
Al livello organico i danni più evidenti dell’intossicazione da patulina sono a carico del sistema nervoso centrale e del tratto digerente creando delle vere e proprie ulcerazioni e permeabilità nella barriera gastrointestinale. Ma la patulina causa anche edemi polmonari, necrosi della milza e danni ai reni andando ad incrementare la permeabilità dei tubuli renali a seguito della loro degenerazione.
Ma come possiamo evitare l’intossicazione da patulina?
Prima di tutto attraverso un processo di prevenzione che consiste nel selezionare le materie prime, escludendo frutti e ortaggi danneggiati o ammuffiti. Il grado di contaminazione da patulina è proporzionato a quello di ammuffimento dell’alimento.
Si può anche provare a togliere dal frutto la parte “contaminata” ma bisogna fare molta attenzione ad eliminare anche una parte “sana” del tessuto circostante perché la tossina sembra possa penetrare fino ad oltre un centimetro nel frutto, andando inoltre ad alterare sia il sapore che l’odore.
È necessario invece eliminare completamente il frutto o la verdura se utilizziamo questi alimenti per fare delle conserve o delle bevande.
La patulina resiste a una temperatura di cottura anche di 80°C per 20 minuti. Per stare più tranquilli è quindi indispensabile aggiungere anidride solforosa, un additivo alimentare in grado di degradare completamente la micotossina.
Se invece dobbiamo preparare bevande alcoliche come il sidro di mele o di pere ottenute dalla fermentazione di questi frutti, non abbiamo la necessità di aggiungere niente perché la fermentazione alcolica degrada completamente questa tossina.
Gaetano Paparesta